Strega Bistrega

Strega
Bistrega

di Fabio Traversa

Ispirato a Il bambino nel sacco, dalla Raccolta di Fiabe Italiane di Italo Calvino

con

Valentina Greco (Cora Presezzi) nella parte di Margherita Margheritone
Dawid Job Wasiulewski Rocca (in video) nella parte di Pierino Pierone
Fabio Traversa nella parte della Strega Bistrega

regia
FABIO TRAVERSA

ha collaborato alla drammaturgia e alla regia TIZIANA LUCATTINI

scene Francesco Persico
costumi Valentina Bazzucchi
disegno luci Martin Beeretz
riprese e regia video Fabio Traversa
postproduzione Lucia De Amicis

– Grazie a Nicoletta Stefanini che ci ha fatto scoprire la fiaba “Il bambino nel sacco” dalla racccolta di
fiabe popolari di Italo Calvino, a cui questa storia si ispira
– Grazie a Monica Wasiulewska ed Erminio Angeloni per la loro collaborativa presenza sul set

Una strega ostinatamente ignorante, quasi una sopravvissuta di una tradizione streghesca antica e
superata. Non sa, o non vuole saperne di più. Una fame atavica la divora. Deve trovare da mangiare e non
è facile,e allora anche un bambino diventa un pasto invitante.

Una figlia ignorante anche lei, ma curiosa.
Di una curiosità particolare per una giovane strega che conosce

di fatto solo erbe,frutta,intrugli magici e bestie boschive. Esistono altri esseri al mondo?
E come sono fatti?

Come sono fatti i bambini?
…”Boh…!” risponde la Strega, ma la curiosità della figlia diventa anche la sua.
E poi un bambino:presenza e assenza. I suoi giochi, le sue abitudini. Ripreso e sorpreso nella sua
quotidianità. Cosa c’entra lui,così normale,col mondo delle streghe? Ma il suo sguardo ha un
luccichio,insondabile.

Un ponte tra la realtà e la fantasia?
Ma se già il bambino in tutte le fiabe è preda inafferrabile, in questa storia lo è ancora di più. I linguaggi
scenici usati, quello teatrale e quello cinematografico, accentuano la distanza tra mondi antitetici, rendono vano ogni tentativo delle streghe, segnano poeticamente quella che, forse, è la distanza incolmabile tra il mondo infantile e il mondo degli adulti. Accade però, forse per magia, che gli estremi si tocchino, che la realtà si fonda con la fantasia. E la tradizione streghesca, antica e mai superata, dia infine alla luce un “frutto” che si perpetui nel tempo. Una pièce di vago sapore beckettiano: due stralunate streghe inseguono e attendono il loro Godot, oggetto inconoscibile di desiderio, il BAMBINO.

Alcune note e riflessioni per la fruizione dello spettacolo:

Il bambino si identifica nel ragazzino della storia, imprendibile – letteralmente perché la sua “distanza”
cinematografica lo rende tale, ma metaforicamente perché è furbo, veloce, giocosamente vitale. Ed è
proprio questo che lo rende imprendibile: lui gioca, la sua paura non gli impedisce di beffarsi del pericolo, di fermarsi a lanciare alla Strega un ultimo sberleffo prima di sparire alla sua vista, correndo felice in un campo di fieno ai confini della città. La proiezione sul fondale lo rende anche più grande, le streghe al confronto sono piccole, indifese, come a volte gli adulti sono, di fronte alle bizzarrie dei bambini. E come a volte, nel loro senso di onnipotenza, i bambini stessi si percepiscono.
E a queste Streghe pasticcione, tenere, affamate di cibo ma essenzialmente di calore e desiderio di dare
accudimento, di maternità “umana” non realizzata, ignoranti del mondo di fuori, che vivono ai confini della periferia metropolitana, viene voglia di riservare un’area protetta come per gli animali in estinzione, perché sono la materializzazione di un mondo di fiaba da preservare e proteggere, perché necessario alla salute dell’uomo.
Un altro aspetto di ricchezza e profondità che individuiamo nella storia è la compresenza e la convivenza di aspetti, mondi, emozioni, epoche, conflittuali e stridenti, ma presenti nella esperienza quotidiana di tutti e nel bambino ancora di più, essendo lui un recettore aperto e in espansione, e con un mondo interiore animista che crea di continuo: la campagna che lambisce la metropoli con i suoi resti archeologici di fastosità romane decadute ma fortemente presenti; il realismo di una cameretta di bambino e l’avventura magica che la campagna proprio sotto casa dischiude; il mondo adulto e il mondo dell’infanzia, distanti ma necessari uno all’altro; un desiderio antico da parte delle streghe di accudire ma l’inadeguatezza e l’ignoranza buffonescamente clownesca di fronte a questo; il desiderio da parte del bambino (ma anche delle Streghe!) di scappare e la voglia di rimanere e scoprire “l’altro”.
Questo stridore genera una particolare poesia contemporanea che parla al bambino e a noi tutti in modo ora ironico ora magico. E ci invita ad accogliere tra sguardi insondabili di bambini, fili d’erba, alberi da frutta, giretti in bicicletta, traffico cittadino, e fruscii nel vento, la bellezza di quello che c’è e di quello che … sembra che non ci sia.